La mosca bianca di un prete (don Giovanni Citro) che nel salernitano si iscrive al Partito Democratico desta clamore come si trattasse di un peccato mortale, mentre non fa altrettanto il distacco, se non l’indifferenza diffusa, da parte di preti e comunità cristiane nei confronti della vita politica e sociale dei loro territori, quando non la complicità con pratiche e mentalità non ispirate propriamente all’etica pubblica.
Su un piano macroscopico si pensi agli oltraggi all’estetica dell’urbanizzazione selvaggia di città e paesi dell’ entroterra napoletana, che lo sono anche all’etica tout court senza che siano suonate campane di denuncia o il mancato rispetto dei diritti nel lavoro nero e precario di adulti, giovani e immigrati, l’evasione fiscale giustificata, o la ghettizzazione di nomadi e rom in condizioni incivili. Senza trascurare gestioni della vita amministrativa ispirata ad interessi particolari, quando non affaristici di amministratori e compagni.
E ‘ noto da numerosi esempi del dopoguerra che il divieto dell’attività politica per preti e religiosi non è assoluto, quando sono in gioco i diritti fondamentali o il bene comune in particolari circostanze, ma non si può passar sopra la responsabilità di contribuire alla formazione di una coscienza e di un ethos collettivo, cioè di modelli di comportamento delle popolazioni e delle istituzioni ispirate alla legalità, universalità e solidarietà e naturalmente alla non violenza. Il lavoro non manca, ma non è super partes nel senso indicato. E l’opzione preferenziale dei poveri e sans papier, che aumentano nelle nostre città? Gesti meno clamorosi ma più concreti di mobilitazione e advocacy come si dice a livello internazionale.